40º Tff: Tamano Visual Poetry Collection: Nagisa‘s Bicycle di Tetsuichirô Tsuta
La ruota gira
di Marco Allegrezza
Un film veloce e rapido come un giro in bicicletta, o la lettura di una breve poesia.
Il Keirin è una specialità del ciclismo su pista che ha origine in Giappone nel 1948, che ha incontrato una notevole fortuna, anche perché legato a giri di gioco d’azzardo e scommesse clandestine.
Consiste nell’effettuare in sella a una bici diversi giri, per un totale di due chilometri, su di una pista apposita. È una gara di velocita, e la sua peculiarità è la presenza del derny, un veicolo su due ruote di solito motorizzato, che regola la velocità e l’andatura dei corridori, aumentando gradualmente la velocità nel corso della gara, vietando loro il sorpasso, fino a dare sfogo alla volata finale (circa seicento metri prima del traguardo, il derny si sposta e lascia spazio all’ultra sprint finale).
A Tamano, una cittadina di mare situata nel sud della prefettura di Okayama, in Giappone, il Keirin viene praticato come evento speciale della vita sociale di un ecosistema cristallizzato.
È atteso come l’unica fonte di divagazione e colore del luogo, a detta dei cittadini protagonisti di questa opera, che costruisce il suo racconto intorno all’attesa/preparazione di questa epifania ciclistica.
La struttura a tre atti del film si articola come i capitoli di un libro.
Il primo segmento è intitolato “Bicycle Racing”, e racconta la vita di un ciclista professionista di mezz’età che vive una crisi dovuta all’avvicinarsi della necessità di abbandonare l’agonismo per normali cause biologico-anagrafiche.
Shin Oshima (Shin Miyake) cade in un vortice di apatia, e perde interesse per le attività che prima trovava piacevoli , come le bevute in compagnia, l’interesse per le donne, il gioco d’azzardo, mantenendo però vivida l’ossessione per gli allenamenti e le gare, unica fonte di luce, spiraglio di liberta e gioia: la sua amata e problematica pista ciclabile, che lo salvano dalla discesa nel baratro.
Troppo giovane per andare in pensione, troppo vecchio per gareggiare, Oshima è intrappolato nel e dal tempo e, frustrato da questa vita grigia e monotona, intraprende un corso di gestione della rabbia. Viene guidato da un sensei a dir poco folklorisitco e tendenzialmente irritante, che per testare la capacità di contenere la rabbia, provoca i partecipanti del suo corso.
Il regista non rinuncia all’attrazione del comico e dell’ironia, raccontando uno spicchio agrodolce della vita degli atleti che si avviano verso il tramonto, l’ultima pedalata prima del buio.
Il secondo capitolo di questa mono-trilogia è “Seaside Bicycle”. Qui la protagonista è Nagisa (Nagisa Kashima) una ragazza pescatrice, che durante una delle sue uscite in mare rinviene un oggetto comune: una bicicletta, che diventerà la sua.
La sua vita viene assorbita dalla gioiosa scoperta di questa nuova inanimata compagna di viaggio – tanto che suo padre, vendendola trascurare il lavoro, tenterà di disfarsene, dando il via a una fiaba dalle derive finali magiche, fantastiche e fantascientifiche.
Giungiamo all’ultimo atto con “Ice and Oil”: un improprio Ménage à trois più uno, che coinvolge Sunako (Yuriyan Retriever) e Hiroshi (Katamari Mizukawa), due colleghi in un cantiere navale cresciuti a Tamano. Lei è molto presa da lui, mentre Hiroshi è fortemente attratto dalla bellissima Momo (Miyako Sono), una giovane affascinante di Tokyo.
La presenza di un quarto personaggio, amico di Momo, sconvolgerà ancora di più gli equilibri relazionali del trio, tra gelosie reciproche e situazioni grottesche, e li risolverà una volta per tutte, di nuovo nello scenario cardine di questo film: la gara ciclistica a Tamano.
In questo collage tripartito, quella che sembra essere una logica narrativa che procede a compartimenti stagni è tradita dalla presenza di elementi che a cascata ritroviamo palesarsi negli episodi successivi a quello appena esaurito.
Un metodo di racconto assimilabile a quella del videogame, che procede per livelli progressivi più che per linee distinte e separate. Al compimento del primo, l’effetto domino porterà un riflesso di questo nello schema successivo, con easter egg che si scoprono solo col proseguirsi dell’intreccio, e che interconnettono ogni episodio all’altro.
Come per Nagisa, la protagonista del secondo componimento, che si imbatte assurdamente in una piccola capra candida, trovata nel mezzo della pista di Tamano. Lei stessa è giunta alla pista tramite il rinvenimento di una bici gettata da Oshima, che, vittima di un gag televisiva, era stato preso da un attacco d’ira e aveva lanciato la bici del fastidioso conduttore che non gli dava tregua, in acqua.
Un’apparizione, quella dell’animale, quasi biblica, che vedrà la sua resurrezione nell’ultima storia, dove Hiroshi si troverà sconsolato a portare a spasso quasi forzatamente, come un ostacolo surreale posto dall’amico della bellissima Momo di Tokyo.
Un impaccio dal quale non riesce a liberarsi e che lo farà sprofondare nel ridicolo, e quindi ripensare meglio alle proprie scelte, e al senso del suo invaghimento non corrisposto.
Lo stesso accade per la preparazione della grande gara che vediamo nel primo episodio, il cui esito di essa giocherà un ruolo cruciale per il dispiegamento del terzo frammento finale di questo racconto corale.
Negli epiloghi di queste storie infelicemente comiche, trionfa quasi sempre il lieto fine, che sopraggiunge con sprazzi magico-poetici che restano impressi. I quadri finali sono memoriali dal trionfo lirico e onirico, e compongono le ultime note finali di un componimento surreale.
Il fantastico prende il sopravvento sulla plausibilità del racconto, lasciando spazio al sogno e alla fantasia, che governano ed eclissano ogni linearità causa-effetto.
Nella seconda parte, da un cumulo di rifiuti, si genera una bici in miniatura composta da oggetti di riciclo presenti in quello squallido luogo.
L’agglomerato di scarti urbani aumenta di volume e al culmine di questa sequenza esasperante senza freni, assume le fattezze di un enorme ruota di bicicletta.
Un’esplosione alla Zabriskie Point ma in reverse, che passa dall’inesistenza all’esistenza.
Un mastodontico cerchione magico ora girovaga libero per i luoghi della cittadina: la ruota panoramica che Tamano non aveva. Dal cimitero degli oggetti alla rinascita totale, che lascia stupiti e grida alla vita.
Apriamo gli occhi insieme a Nagisa, lei si era assopita, forse anche noi.
La vediamo risvegliarsi tra la sabbia e il mare, si allontana verso l’orizzonte, inseguendo l’infinita distesa acquatica, porta con sé la sua bici, sullo sfondo c’è un vulcano, il quadro è completo e cala il sipario su questo tableau vivant.
Quello che abbiamo appena visto è per caso solo un miraggio balneare?
Tetsuichirô Tsuta non si sottrae però al dovere etico nel fare una critica morale del suo paese. Nonostante i toni leggeri del film, la terza parte del film affronta il delicato tema del gioco d’azzardo (seppur in maniera grottesca e sarcastica), importante ombra di questo sport ciclistico, il Keirin.
Questo è un film sul ritmo, che alterna sequenze dalle grandi esaltazioni di velocità e lotta tra corpi e biciclette, a composizioni sceniche fisse, dalla messa in quadro perfettamente armonica e bilanciata.
Sudore e fatica, dettagli di pedalate che incalzano il ritmo anche del montaggio, passando melodicamente e ritmicamente (come in un componimento musicale) a (e)stasi delle inquadrature, percorrendo una linea antitetica tra dinamismo e ”fissità” stagnante.
Intervalli di immobilità e sprint, arresto e sfrecciate, partenza e battuta.
Una totale logica sinfonica che fa danzare questi frame a tempo tra sincronie e diacronie.
L’estetica videogame torna anche nell’ultimo capitolo, dove una musica elettronica dalle sonorità che attingono nell’immaginario del videogioco retrò, fa il punto sull’intera opera.
E lo fa con dolcezza e bontà di sorte per tutti nessuno escluso.
Finisce la gara tanto attesa da tutti i personaggi di tutte e tre le storie, e la coppia di colleghi (Sunako e Hiroshi) si ritrova, pronta finalmente per un cammino congiunto.
La divagazione temporanea forestiera prosegue per i suoi binari, come un glitch temporaneo nella narrazione principale, superato e dimenticabile.
Un componimento poetico visuale libero e fantastico, che narra ritraendo con pennellate giustapposte un habitat rarefatto e popolato da esistenze affascinanti e dolcemente ironiche.
Tamano diventa un non luogo, dove non succede nulla e tutto, in una sola ora che vorresti durasse per sempre e, che in invece purtroppo arriva a consumarsi troppo presto.
The end.