2022: i sopravvissuti di Richard Fleischer
2022. Finalmente ci siamo!
di Alessandro Cappabianca
2022: i sopravvissuti. Titolo italiano, per una volta profetico, di Soylent Green, girato da Richard Fleischer nel 1973 per la MGM. Siamo arrivati al 2022, la data reale ha raggiunto quella di un film di fantascienza girato 55 anni prima. Non solo: siamo in piena pandemia, come nel film, sovrappopolazione, inquinamento e aumento delle temperature sommano i loro effetti nefasti, i morti si accumulano, i sopravvissuti sono costretti a mangiare un cibo sintetico, che non si sa come venga prodotto. Il detective Thorn (C. Heston) vive nel quartiere povero della città, assieme all’anziano professor Solomon Roth, la cui funzione è ormai solo quella di produrre un po’ di energia girando i pedali d’una vecchia bicicletta. Rispetto alla nostra situazione reale, l’unico vantaggio è la possibilità di ricorrere al suicidio assistito, di cui approfitterà il professore. C’è la possibilità di morire circondati da scenari idillici, di alberi, boschi, acque, com’erano una volta sulla terra, illuminati del colore preferito (l’arancione, nel caso di Sol).
New York è una fornace di calore, dove l’acqua è preziosa e contingentata, ma esiste anche una zona riservata ai ricchi, con ville dotate di ogni confort, dove è possibile anche fare una doccia, se si vuole. Pagando bene, è perfino possibile procurarsi una bistecca, del tipo che una volta esisteva. In questo Eden accade un delitto, sul quale il detective Thorn è mandato a indagare. Le indagini sono da subito eterodirette, e lo stesso Thorn cerca di approfittare della situazione arraffando qualcosa, ma il punto non è questo.
Il punto è che a Thorn sorge un orribile sospetto, sul modo in cui viene ricavato il cibo artificiale da distribuire al popolo degli affamati. E’ cibo ricavato dai cadaveri, dai morti rastrellati per le strade con le ruspe. Il tutto protetto dal più rigoroso segreto.
Cibarsi dei cadaveri dei propri simili: ecco qual è il futuro di un’umanità che ha distrutto il suo habitat. Thorn grida la verità, ma non si sa se qualcuno raccoglierà il suo grido di rivolta. Il film non lo dice. Le scene finali sembrano riferirsi a un mondo risanato, ma qui hanno contato, probabilmente, le pressioni della MGM.
Del resto, al 2022 siamo arrivati. Possiamo controllare. MGM a parte, la perfezione moralistica del cinema di Fleischer è quella del cinema “dei fatti”, esaltato ed esaltante,di cui parlava Giuseppe Turroni sul n. 218 di Filmcritica, poco prima che il film uscisse. Scriveva Turroni:
“Il male è un fatto, una dimensione dell’uomo, un’oggetto da vedere ormai con distacco, da fotografare e cinematografare. Il linguaggio di Fleischer di conseguenza assume i caratteri elementari di un discorso violento ed ambiguo. Si parlava prima di Balzac. Quando Balzac scrive male quando fa tutti quei discorsi-sproloqui sulla Parigi corrotta e corruttrice, con la gente dai volti pallidi, stravolti dalla lussuria, dal bisogno di danaro, dall’egoismo, dalla frenesia del delitto, dal gusto del sangue e delle teste mozzate che rotolano sui selciati, tocca la parte più moderna del genio, non si cura dello stile, sa che c’è un significato-ritmo dentro la musica silenziosa delle cose, sa che un critico vero deve vedere oltre i modi e i segni apparenti”
Per il cinema profetico di Fleischer, per il suo “vedere oltre”, che era, sul piano critico, quello stesso di Turroni, è arrivato il momento della verifica suprema, quella con la realtà. Una realtà colorata d’arancione.